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La tentazione è sempre una scelta fra due amori

La prima lettura racconta di un Dio che inventa l'arcobaleno, questo abbraccio lucente tra cielo e terra, che reinventa la comunione con ogni essere che vive in ogni carne. Questo Dio non ti lascerà mai. Tu lo puoi lasciare, ma lui no, non ti lascerà mai.
Il Vangelo di Marco non riporta, a differenza di Luca e Matteo, il contenuto delle tentazioni di Gesù, ma ci ricorda l'essenziale: e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni tentato da Satana. In questo luogo simbolico Gesù gioca la partita decisiva, questione di vita o di morte. Che tipo di Messia sarà? Venuto per essere servito o per servire? Per avere, salire, comandare, o per scendere, avvicinarsi, offrire?
La tentazione è sempre una scelta tra due vite, anzi tra due amori. E, senza scegliere, non vivi. «Togliete le tentazioni e nessuno si salverà più» (Abba Antonio del deserto), perché verrebbe a mancare il grande gioco della libertà. Quello che apre tutta la sezione della legge nella Bibbia: io metto davanti a te la vita e la morte, scegli! Il primo di tutti i comandamento è un decreto di libertà: scegli! Non restare inerte, passivo, sdraiato. Ed è come una supplica che Dio stesso rivolge all'uomo: scegli, ti prego, la vita! (Dt 30,19).
Che poi significa «scegli sempre l'umano contro il disumano» (David Maria Turoldo), scegli sempre ciò che costruisce e fa crescere la vita tua e degli altri in umanità e dignità.
Dal deserto prende avvio l'annuncio di Gesù, il suo sogno di vita. La primavera, nostra e di Dio, non si lascia sgomentare da nessun deserto, da nessun abisso di pietre. Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù andò nella Galilea proclamando il Vangelo di Dio. E diceva: il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo.
Il contenuto dell'annuncio è il Vangelo di Dio. Dio come una bella notizia. Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è Vangelo; non tutta è bella, gioiosa notizia; alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione. Ma la caratteristica originale del rabbi di Nazaret è annunciare il Vangelo, una parola che conforta la vita: Dio si è fatto vicino, e con lui sono possibili cieli e terra nuovi.
Gesù passa e dietro di lui, sulle strade e nei villaggi, resta una scia di pollini di Vangelo, un'eco in cui vibra il sapore bello e buono della gioia: è possibile vivere meglio, un mondo come Dio lo sogna, una storia altra e quel rabbi sembra conoscerne il segreto.
Convertitevi... Come a dire: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Ed è come il movimento continuo del girasole, il suo orientarsi tenace verso la pazienza e la bellezza della luce. Verso il Dio di Gesù, e il suo volto di luce.

padre Ermes Ronchi

La compassione di Gesù e i lebbrosi del nostro tempo

Un lebbroso cammina diritto verso di lui. Gesù non si scansa, non mostra paura. Si ferma addosso al dolore e ascolta.
Il lebbroso «porterà vesti strappate, sarà velato fino al labbro superiore, starà solo e fuori» (Levitico 13,46). Dalla bocca velata, dal volto nascosto del rifiutato esce un'espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace: «Se vuoi». E intuisco Gesù toccato da questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di tutti i figli dolenti della terra il lebbroso lo interroga: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici o figli guariti?

Davanti al contagioso, all'impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, Gesù prova «compassione». Il Vangelo usa un termine di una carica infinita, che indica un crampo nel ventre, un morso nelle viscere, una ribellione fisica: no, non voglio; basta dolore!

Gesù prova compassione, allunga la mano e tocca. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l'intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce. Dio non guarisce con un decreto, ma con una carezza.

La risposta di Gesù al «se vuoi» del lebbroso, è diretta e semplice, una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: «Lo voglio: guarisci!». Me lo ripeto, con emozione, fiducia, forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti. È la bella notizia, un Dio che fa grazia, che risana la vita, senza mettere clausole. Che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.

E lo mandò via, con tono severo, ordinandogli di non dire niente. Perché Gesù non com-pie miracoli per qualche altro fine, per fare adepti o per avere successo, neppure per convertire qualcuno. Lui guarisce il lebbroso perché torni integro, perché sia restituito alla sua piena umanità e alla gioia degli abbracci. È la stessa cosa che accade per ogni gesto d'amore: amare «per», farlo per un qualsiasi scopo non è vero amore.

Quanti uomini e donne, pieni di Vangelo, hanno fatto come Gesù e sono andati dai leb-brosi del nostro tempo: rifugiati, senza fissa dimora, tossici, prostitute. Li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono lette-ralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.

Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.

E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo porta con sé una grande felicità. Perché ti mette dalla parte giusta della vita.

padre Ermes Ronchi

Ristoro dell'anima: la preghiera notturna del Signore

Gesù esce dalla sinagoga e va nella casa di Simone: inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone era a letto con la febbre.
Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.
Ed ella li serviva: Marco usa lo stesso verbo impiegato nel racconto degli angeli che servivano Gesù nel deserto, dopo le tentazioni. La donna, che era considerata una nullità, è assimilata agli angeli, le creature più vicine a Dio.
Questo racconto di un miracolo dimesso, così poco vistoso, senza neppure una parola da parte di Gesù, ci può aiutare a smetterla con l'ansia e i conflitti contro le nostre febbri e problemi. Ci può ispirare a pensare e a credere che ogni limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza.
Poi, dopo il tramonto del sole, finito il sabato con i suoi 1521 divieti (proibito anche visitare gli ammalati) tutto il dolore di Cafarnao si riversa alla porta della casa di Simone: la città intera era riunita davanti alla porta. Davanti a Gesù, in piedi sulla soglia, luogo fisico e luogo dell'anima; davanti a Gesù in piedi tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza; Gesù che ama le porte aperte che fanno entrare occhi e stelle, polline di parole e il rischio della vita, del dolore e dell'amore. Che ama le porte aperte di Dio.
Quelle guarigioni compiute dopo il tramonto, quando iniziava il nuovo giorno, sono il collaudo di un mondo nuovo, raccontato sul ritmo della genesi: e fu sera e fu mattino. Il miracolo è, nella sua bellezza giovane, inizio di un giorno nuovo, primo giorno della vita guarita e incamminata verso la sua fioritura.
Quando era ancora buio, uscì in un luogo segreto e là pregava. Un giorno e una sera per pensare all'uomo, una notte e un'alba per pensare a Dio. Perché ci sono nella vita sorgenti segrete, alle quali accostare le labbra. Perché ognuno vive delle sue sorgenti. E la prima delle sorgenti è Dio. Gesù, pur assediato, sa inventare spazi. Di notte! Quegli spazi segreti che danno salute all'anima, a tu per tu con Dio.
Simone si mette sulle sue tracce: non un discepolo che segue il maestro ma che lo insegue, con ansia; lo raggiunge e interrompe la preghiera: tutti ti cercano, la gente ti vuole e tu stai qui a perdere tempo; hai avuto un grande successo a Cafarnao, coltiviamolo.
E Gesù: no, andiamo altrove. Cerca altri villaggi, un'altra donna da rialzare, un altro dolore da curare. Altrove, dove c'è sempre da sdemonizzare l'esistenza e la fede, annunciando che Dio è vicino a te, con amore, e guarisce tutto il male di vivere.

padre Ermes Ronchi

Il Signore libera l'uomo da tutto ciò che lo imprigiona

 

Ed erano stupiti del suo insegnamento. Lo stupore, esperienza felice e rara che ci sorprende e scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci rinchiudeva e ci fa respirare meglio man mano che entra aria nuova e si dilatano gli orizzonti.
Salviamo almeno lo stupore davanti al Vangelo, che è guardare Gesù e ascoltarlo, ma «attonitis auribus» (Regola di san Benedetto) con orecchio incantato, stupito, con occhio meravigliato; guardando come innamorati e ascoltando come bambini, pronti a meravigliarci, perché sentiamo parole che toccano il centro della vita e lo liberano.
I quattro pescatori che chiama di lì a poco, non sono pronti, non sono preparati alla novità, come non lo siamo noi. Ma hanno un vantaggio: sono affascinati dal giovane rabbi, sono sorpresi, come per un innamoramento improvviso, per un'estasi che sopraggiunge.
Gesù insegnava come uno che ha autorità. Autorevoli sono soltanto le parole di chi è amico della vita; Gesù ha autorità perché non è mai contro l'uomo ma sempre in favore dell'uomo. Autorevoli sono soltanto le parole di chi è credibile, perché dice ciò che è ed è ciò che dice; quando il messaggero e il messaggio coincidono. Così per noi, se non vogliamo essere scribi che nessuno ascolta, testimoni che non convincono nessuno, è importante dire il Vangelo, perché un seme che fruttifica senza che tu sappia come, ma più ancora farlo, diventarlo. E spesso i testimoni silenziosi sono i più efficaci ed autorevoli. «Sono sempre i pensieri che avanzano con passo di colomba quelli che cambiano il mondo»(Camus).
C'era là un uomo posseduto da uno spirito impuro, prigioniero di qualcosa più forte di lui. Ed ecco che Gesù interviene: non parla di liberazione, libera; non pronuncia discorsi su Dio o spiegazioni circa il male, ma si immerge come guarigione nella vita ferita e mostra che «il Vangelo non è un sistema di pensiero, o una morale, ma una sconvolgente liberazione» (G. Vannucci).
Mostra che Dio è il liberatore, che combatte contro tutto ciò che imprigiona l'uomo.
I demoni se ne accorgono: che c'è fra noi e te Gesù di Nazareth? Sei venuto a rovinarci? Sì, Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l'uomo, a demolire prigioni; a portare spada e fuoco contro tutto ciò che non è amore. A rovinare il regno degli idoli che divorano il cuore dell'uomo: denaro, successo, potere, egoismi.
Contro di loro Gesù pronuncia due sole parole: taci, esci da lui.
Tace e se ne va questo mondo sbagliato; va in rovina, come aveva sognato Isaia, perché nasca un mondo altro. Vanno in rovina le spade e diventano falci; vanno in rovina le lance e diventano aratri. Si spezza la conchiglia, ma appare la perla.

padre Ermes Ronchi

E una notizia percorse la Galilea: un altro mondo è possibile

In poche righe, un incalzare di avvenimenti: Giovanni arrestato, Gesù che ne prende il testimone, la Parola che non si lascia imprigionare, ancora Gesù che cammina e strade, lago, barche; le prime parole e i primi discepoli. Siamo al momento fresco, sorgivo del Vangelo.
Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio. La prima caratteristica che Marco riferisce è quella di un uomo raggiunto da una forza che lo obbliga a partire, a lasciare casa, famiglia, clan, paese, tutto. Il primo atto registrato dal Vangelo è l'itineranza di Gesù, la sua viandanza. E per casa la strada.
Proprio su questo andare e ancora andare, si innesta la seconda caratteristica: camminava e proclamava il Vangelo di Dio: Dio come una bella notizia.
Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è Vangelo, non tutta è bella e gioiosa notizia, alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione, ma ora la caratteristica nuova del rabbi itinerante è proprio il Vangelo: una parola che conforta la vita, Dio che libera e fa fiorire.
Gesù passa e dietro di lui resta una scia di pollini di primavera, un'eco in cui vibra il sapore bello e buono della gioia: è possibile la felicità, un'altra storia, un mondo altro sono possibili. E quell'uomo sembra conoscerne il segreto.
La bella notizia che inizia a correre per la Galilea è raccontata così: il regno di Dio (il mondo come Dio lo sogna) è vicino. Perché Dio si è avvicinato, ci ha raggiunto, è qui. Ma quale Dio? Gesù ne mostra il volto, da subito, con il suo primo agire: libera, guarisce, purifica, perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, anche a quelli marchiati dall'esclusione. Un Dio esperto in nascite, in vita.
Per accoglierlo, suggerisce Gesù, convertitevi e credete nel Vangelo. La conversione non come un'esigenza morale, ma un accorgersi che si è sbagliato strada, che la felicità è altrove. Convertitevi allora, giratevi verso la luce, come un girasole che si rimette ad ogni alba sui sentieri del sole, perché la luce è già qui.
Credete nel Vangelo, non semplicemente al Vangelo. Buttatevici dentro, con una fiducia che non darete più a nient'altro e a nessun altro.
Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide... Cammina senza fretta e senza ansia; cammina sulla riva, in quel luogo intermedio tra terra e acqua, che sa di partenze e di approdi, e chiama quattro pescatori ad andare con lui. Vi farò diventare pescatori di uomini, vi farò pescatori di umanità, cercatori di tutto ciò che di più umano, bello, grande, luminoso ogni figlio di Dio porta nel cuore. Lo tirerete fuori dall'oscurità, come tesoro dissepolto dal campo, come neonato dalle acque materne.

padre Ermes Ronchi

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