Attraverso due donne portatrici di vita nuova, il vangelo ci prepara al Natale, ormai alle porte.
Maria si mise in viaggio in fretta. Appena l’angelo è volato via, anche lei vola via da Nazaret, quasi sulle orme di Gabriele. E appena giunta sull’uscio della casa di Zaccaria, Maria fa come l’angelo con lei; adesso è lei a diventare l’angelo di un lieto annunzio, e il bimbo nel buio del grembo lo percepisce con tutto se stesso: “appena il tuo saluto è giunto, il bambino ha sussultato di gioia nel mio seno”.
Dio viene con gioia, come un abbraccio, come una musica, una chiamata alla danza. Viene e nasce vita.
La corsa di Maria è accolta al suo arrivo da una benedizione. Benedetta tu… Tu che hai avuto la follia di accogliere la follia di Dio.
Un vento di benedizione dovrebbe aprire ogni dialogo. Dire il bene, vedere la luce nell’altro che condivide con me un pezzo di strada o la vita intera. E non giudicare nessuno dal semplice colore della buccia, ma dal sapore della polpa, che per essere gustato richiede pazienza e rispetto.
A chi mi ha dato tanto, a chi mi ha dato poco, vorrei osare la prima parola di Elisabetta: Benedetto sei tu. Dio mi benedice con la tua presenza.
Benedetta tu fra le donne.
E vola quella benedizione, vola in alto e raggiunge tutte le donne, si estende su tutte le figlie di Eva, su tutte le madri del mondo, su tutta l’umanità al femminile.
E benedetto il frutto. Ancora tutti chiamati a dare frutto, a vivere da padri e da madri, a camminare nel mondo secondo la fecondità di ciascuno.
In questo Natale di guerre mi riprometto di benedire, di dire il bene, subito, da principio. E col bene contrastare ogni arma tattica, o anche solo verbale, disinnescarla con l’ingenua follia della benedizione.
Quando infatti le parole sono benedicenti si alza la luce del cuore, quando sono buone tolgono il velo della tristezza.
E beata sei tu che hai creduto. Saluto che avvolge come un mantello di gioia la fede di Maria e anche la mia: credere è acquisire bellezza del vivere, con l’umile, mite e possente piacere di esistere e di fiorire, sotto il sole di Dio.
Elisabetta ha iniziato a battere il ritmo, e Maria intona la melodia. E insieme diventano un fiume di canto, di salmo, di danza. E da loro imparo a credere; da due madri, le prime profetesse del Nuovo Testamento, imparo che la fede è questo: una presenza nella mia esistenza. Un abbraccio nella mia solitudine. Qualcuno che viene e mi consegna cose che neppure osavo pensare. Credo che una profezia ci abita, che Dio viene, in alto silenzio e con piccole cose; che i suoi angeli, sopra di noi come sopra Betlemme, annunciano, con la loro voce che sa di stelle, che la pace, nonostante tutte le smentite, è un miracolo possibile.
P. Ermes Ronchi