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Gesù, Maria e Giuseppe: che famiglia forte!

Il Vangelo racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver ricevuto dall'angelo l'annuncio della nascita del Messia, "andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia". Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Siamo invitati a contemplare questa famiglia in cui il piccolo Gesù appare al centro dell'affetto e delle premure dei suoi genitori. Nella povera grotta di Betlemme - scrivono i Padri della Chiesa - rifulge una luce vivissima, riflesso del profondo mistero che avvolge quel Bambino, e che Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori e lasciano trasparire nei loro sguardi, nei gesti, soprattutto nei loro silenzi. Essi, infatti, conservano nell'intimo le parole dell'annuncio dell'angelo a Maria: "colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio".
Ma anche la nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: "Questo bambino è un dono, un miracolo!". In effetti, gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il "segno" per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli. Quant'è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l'amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell'amore del padre e della madre. E' questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita. La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella - ricordata nel Vangelo secondo Matteo - della "strage degli innocenti", che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto. Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un'infanzia serena e una solida crescita. Possiamo ricordare la piena disponibilità di Maria e di Giuseppe a fare la volontà di Dio, al di là dei loro progetti, in tutti i problemi che si sono di volta in volta presentati. Non sapevano nulla di come sarebbero andate le cose, ma si affidavano al Signore. Abbiamo notato l'azione di Giuseppe: vede e ascolta l'angelo in sogno, si sveglia e parte: quando c'è da prendere in sposa Maria, quando deve fuggire in Egitto, quando deve ritornare nella sua terra. La santa Famiglia è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è "modello di vita" per ogni famiglia, perché Gesù, vero uomo, ha voluto nascere in una famiglia umana, e così facendo l'ha benedetta e consacrata. Vogliamo affidare alla Madonna e a san Giuseppe la nostra famiglia e tutte le famiglie, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l'amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell'educazione.

don Roberto Rossi

La vertigine di Betlemme, l'Onnipotente in un neonato

Questo per voi il segno: troverete un bambino: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere "dio". Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).
Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L'uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore.
C'erano là alcuni pastori. Una nuvola di ali, di canto e di parole felici li avvolge: Non temete! Dio non deve fare paura, mai. Se fa paura non è Dio colui che bussa alla tua vita. Dio si disarma in un neonato. Natale è il corteggiamento di Dio che ci seduce con un bambino. Chi è Dio? «Dio è un bacio», caduto sulla terra a Natale (Benedetto Calati). Vi annuncio una grande gioia: la felicità non è un miraggio, è possibile e vicina. E sarà per tutto il popolo: una gioia possibile a tutti, ma proprio tutti, anche per la persona più ferita e piena di difetti, non solo per i più bravi o i più seri. Ed ecco la chiave e la sorgente delle felicità: Oggi vi è nato un salvatore. Dio venuto a portare non tanto il perdono, ma molto di più; venuto a portare se stesso, luce nel buio, fiamma nel freddo, amore dentro il disamore. Venuto a portare il cromosoma divino nel respiro di ogni uomo e di ogni donna. La vita stessa di Dio in me. Sintesi ultima del Natale. Vertigine. E sulla terra pace agli uomini: ci può essere pace, anzi ci sarà di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come una primavera che non si lascia sgomentare dagli inverni della storia. Agli uomini che egli ama: tutti, così come siamo, per quello che siamo, buoni e meno buoni, amati per sempre; a uno a uno, teneramente, senza rimpianti amati (Marina Marcolini).
È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte. È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro.
Natale è anche una festa drammatica: per loro non c'era posto nell'alloggio. Dio entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. Come scrive padre Turoldo, Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo. Gesù è il pianto di Dio fatto carne. Allora prego:
Mio Dio, mio Dio bambino, povero come l'amore, piccolo come un piccolo d'uomo, umile come la paglia dove sei nato, mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra stessa vita. Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male, che vivi soltanto se sei amato, insegnami che non c'è altro senso per noi, non c'è altro destino che diventare come Te.

padre Ermes Ronchi

Il miracolo del seme e del lievito che non si «spegne»

Sei tu o no quello che il mondo attende?. Grande domanda che permane intatta: perseveriamo dietro il Vangelo o cerchiamo altrove?
Giovanni è colto dal dubbio, eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: È il più grande! I dubbi non diminuiscono la fede del profeta. Così è per noi: non esiste fede senza dubbi; io credo e dubito, e Dio continua a volermi bene; mescolo fede e dubbi e la sua fiducia resta intatta. Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una seconda opportunità, la loro vita cambia.
Dove il Signore tocca, porta vita, guarisce, fa fiorire.
La risposta ai nostri dubbi è semplice: se l'incontro con Lui ha cambiato qualcosa, ha prodotto gioia, coraggio, fiducia, apertura del cuore, generosità, bellezza del vivere, se vivo meglio allora è lui quello che deve venire.
I fatti che Gesù elenca non hanno cambiato il mondo, eppure quei piccoli segni bastano perché non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia con i suoi miracoli. Ha promesso qualcosa di molto più grande: il miracolo del seme, il lavoro oscuro ma inarrestabile del seme che fiorirà. Non ci ha fornito pane già pronto, ma un lievito che non si spegne. Sta a noi ora prolungare i gesti che Gesù elenca: «Se io riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 274).
La fede è fatta di due cose: di occhi che vedono il sogno di Dio e di mani pazienti e fiduciose come quelle del contadino che «aspetta con costanza il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). Di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e di lavoro concreto per volti e nomi che riempiono il cuore. Anche di fatica: «Fino a che c'è fatica c'è speranza» (don Milani).
Beato chi non si scandalizza di me. Gesù portava scandalo e lo porta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e del potere, ha messo pubblicani e prostitute prima dei sacerdoti, ha fatto dei poveri i principi del suo regno.
Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come piccolo e fortissimo seme di luce, goccia di fuoco che vive e opera nel cuore dell'uomo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.

padre Ermes Ronchi

Lo stile dell'Avvento: accorgersi, vivere con attenzione

Inizia il tempo dell'Avvento, quando la ricerca di Dio si muta in attesa di Dio. Di un Dio che ha sempre da nascere, sempre incamminato e sempre straniero in un mondo e un cuore distratti. La distrazione, appunto, da cui deriva la superficialità «il vizio supremo della nostra epoca» (R. Panikkar). «Come ai giorni di Noè, quando non si accorsero di nulla; mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». È possibile vivere così, da utenti della vita e non da viventi, senza sogni e senza mistero.

È possibile vivere "senza accorgersi di nulla", di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola, di cento naufraghi a Lampedusa o del povero alla porta.

Senza vedere questo pianeta avvelenato e umiliato e la casa comune depredata dai nostri stili di vita insostenibili. Si può vivere senza volti: volti di popoli in guerra; volti di donne violate, comprate, vendute; di anziani in cerca di una carezza e di considerazione; di lavoratori precari, derubati del loro futuro.

Per accorgersi è necessario fermarsi, in questa corsa, in questa furia di vivere che ci ha preso tutti. E poi inginocchiarsi, ascoltare come bambini e guardare come innamorati: allora ti accorgi della sofferenza che preme, della mano tesa, degli occhi che ti cercano e delle lacrime silenziose che vi tremano. E dei mille doni che i giorni recano, delle forze di bontà e di bellezza all'opera in ogni essere.

L'altro nome dell'Avvento è vivere con attenzione. Un termine che non indica uno stato d'animo ma un movimento, un "tendere-a", uscendo da sé stessi. Tempo di strade è l'avvento, quando il nome di Dio è "Colui-che-viene", che cammina a piedi, senza clamore, nella polvere delle nostre strade, sui passi dei poveri e dei migranti, camminatore dei secoli e dei giorni. E servono grandi occhi.

«Due uomini saranno nel campo, due donne macineranno alla mola, uno sarà preso e uno lasciato»: non sono parole riferite alla fine del mondo, alla morte a caso, ma al senso ultimo delle cose, quello più profondo e definitivo. Sui campi della vita uno vive in modo adulto, uno infantile. Uno vive sull'orlo dell'infinito, un altro solo dentro il circuito breve della sua pelle e dei suoi bisogni. Uno vive per prendere e avere, uno invece è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno solo è pronto all'incontro con il Signore. Uno solo sta sulla soglia e veglia sui germogli che nascono in lui, attorno a lui, nella storia grande, nella piccola cronaca, mentre l'altro non si accorge di nulla. Uno solo sentirà le onde dell'infinito che vengono ad infrangersi sul promontorio della sua vita e una mano che bussa alla porta, come un appello a salpare.

padre Ermes Ronchi

La storia del re che morì amando, all'inverosimile

Se sei il Cristo, salva te stesso! Sono scandalizzati gli uomini religiosi: che Dio è questo che lascia morire il suo Messia?

Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! Salvati. C'è forse qualcosa che vale più della vita? Ebbene sì, risponde la narrazione della Croce, qualcosa vale di più, l'amore vale più della vita. E appare un re che muore ostinatamente amando; giustiziato, ma non vinto; che noi possiamo rifiutare, ma che non ci rifiuterà mai. E la risurrezione è il sigillo che un amore così non andrà mai perduto. Un malfattore appeso alla croce gli chiede di non essere dimenticato e lui lo prende con sé. In quel bandito raggiunge tutti noi, consacrando - in un malfattore - la dignità di ogni persona umana: nella sua decadenza, nel suo limite più basso, l'uomo è sempre amabile per Dio. Proprio di Dio è amare perfino l'inamabile. Non ha meriti da vantare il ladro. Ma Dio non guarda al peccato o al merito, il suo sguardo si posa sulla sofferenza e sul bisogno, come un padre o una madre guardano solo al dolore e alle necessità del figlio. Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù non solo si ricorda, fa molto di più: lo porta con sé, se lo carica sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta, lo riporta a casa: sarai con me! E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio è la terra nuova che avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.

Ricordati di me prega il peccatore, sarai con me risponde l'amore. Sintesi estrema di tutte le possibili preghiere. Ricordati di me, prega la paura, sarai con me, risponde l'amore. Non solo il ricordo, ma l'abbraccio che stringe e unisce e non lascia cadere mai: con me, per sempre. Le ultime parole di Cristo sulla croce sono tre parole regali, tre editti imperiali: oggi-con me-paradiso. Oggi: adesso, subito; ecco l'amore che ha sempre fretta; ecco l'istante che si apre sull'eterno, e l'eterno che si insinua nell'istante. Con me: mentre la nostra storia di conflitti si chiude in muri, frontiere e respingimenti, il Regno di Dio germoglia in condivisioni e accoglimenti. Nel paradiso: quel luogo che brucia gli occhi del desiderio, quel luogo immenso e felice che «solo amore e luce ha per confine».

E se il primo che entra in paradiso è quest'uomo dalla vita sbagliata, allora non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno è senza speranza. Le braccia del re-crocifisso resteranno spalancate per sempre, per tutti quelli che riconoscono Gesù come compagno d'amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

padre Ermes Ronchi

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