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Cantico dei Cantici - Incontro 1 - Innamorarsi - Lo stupore e la gioia - Ct 1,2-2,7

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Iniziamo il nostro incontro invocando insieme: Risveglia, Signore, il nostro cuore troppo spesso assopito e torna a farci innamorare. Allora, con rinnovato stupore, ci ritroveremo capaci di teneri affetti, di relazioni intense e passioni profonde. Allora abbandonati isolamenti e chiusure, si riaccenderanno di gioia le nostre giornate.

 

Prima di accostarci alla Parola di Dio accogliamoci a vicenda ascoltando il pensiero e l’esperienza di ciascuno.

 

Succede nella vita di innamorarsi non una sola volta: innamorarsi non è un incidente ma un evento umanissimo che ci obbliga a uscire da noi stessi a leggersi fragili a essere responsabili delle scelte fatte.

Si ha sempre bisogno di amare e ricevere amore. Enzo Bianchi, Tweet 19/12/2017

 

Al suo apice, l’esperienza dell’innamoramento è esaltante. Ci addormentiamo pensando a lui/lei. Quando ci svegliamo lui (o lei) è il nostro primo pensiero. [...] Desideriamo ardentemente stare insieme a lui (lei). Trascorrere tempo insieme è come trovarsi nell’anticamera del Paradiso. Quando ci teniamo per mano, sembra che il sangue di entrambi scorra insieme. La persona innamorata si illude che l’amato/a sia perfetto/a.

Prima del matrimonio sogniamo una beatitudine coniugale: “ci renderemo estremamente felici l’un l’altra. Altre coppie forse discutono e litigano, ma noi no. Noi ci amiamo”. [...] Siamo stati portati a credere che, se siamo innamorati, il nostro sentimento durerà per sempre. Proveremo sempre le meravigliose sensazioni che percepiamo in questo momento. Nulla potrà frapporsi tra noi. Nulla sarà più forte del nostro amore reciproco. Siamo innamorati e rapiti dalla bellezza e dal fascino della personalità dell’altro. Il nostro amore è la cosa più meravigliosa che abbiamo mai provato. [...] L’euforia dell’’’innamoramento’’ ci dà l’illusione di vivere una esperienza di intimità. Sentiamo di appartenere l’uno altra. Crediamo di poter risolvere ogni problema. Ci sentiamo altruisti nei confronti dell’altro. Un giovane uomo si espresse così riferendosi alla sua fidanzata: “Non posso immaginare di fare qualcosa che possa ferirla. Il mio unico desiderio è renderla felice. Farei qualunque cosa per renderla felice”. L’innamoramento ci dà l’illusione di aver sradicato i nostri atteggiamenti egocentrici, di essere diventati una specie di Madre Teresa di Calcutta, desiderosi di fare qualsiasi cosa per il bene del nostro amato. Nutriamo pensieri così generosi perché crediamo sinceramente che il nostro amato provi gli stessi sentimenti nei nostri confronti. Crediamo che sia desideroso di soddisferà le nostre necessità, che ci ami quanto lo amiamo e che non farebbe mai nulla per ferirci.

Questo pensiero è sempre irreale. Non siamo insinceri in ciò che pensiamo e proviamo, ma non siamo realisti.

Gary Chapman, I 5 linguaggi dell’amore, LDC 2002, pp. 19-22

 

Siamo invitati ad ascoltare la poesia del poeta uruguaiano Mario Benedetti che papa Francesco ha citato nella sua enciclica sulla Letizia dell’Amore:

Le tue mani sono la mia carezza

i miei accordi quotidiani

ti amo perché le tue mani

lavorano per la giustizia.

Se ti amo è perché sei

il mio amore complice e tutto

e per la strada fianco a fianco

siamo molto più di due.

I tuoi occhi mi danno speranza

contro le brutte giornate

ti amo perché il tuo sguardo

guarda e semina futuro.

La tua bocca è tua e mia

la tua bocca non si sbaglia

ti amo perché la tua bocca

sa gridare ribellione.

E per il tuo volto sincero

e il tuo passo vagabondo

e il tuo pianto a causa del mondo

perché sei popolo ti amo.

E perché amore non è aureola

né candido moralismo

e perché siamo coppia

e sappiamo che non siamo soli.

Ti voglio nel mio paradiso

vuol dire che nel mio paese

la gente possa vivere felice

anche se non ne ha il permesso.

Se ti amo è perché sei

il mio amore la mia complice e tutto

e per la strada fianco a fianco

siamo molto più di due.

Felice Tenero-Dario Vaona-Maria Soave Buscemi, Curando, Fondazione CUM 2016, pp. 26-27

 

A differenza dei grandi uomini del Medioevo, oggi noi, gente delle cose di Dio, non sappiamo più comprendere e trattare le passioni, abbiamo dimenticato la «gaia scienza». I monaci poeti possedevano una vera teologia della passione amorosa, mentre noi ci accontentiamo di un’etica degli affetti, di una serie di prescrizioni. È urgente che la Chiesa riprenda a trattare i temi vitali dell’uomo, come il grande dono dell’eros, una spiritualità che parli al cuore, il posto del corpo, l’aldilà, il rapporto con la natura e il cosmo, facendone una teologia, riconoscendoli come luogo teologico, e non riducendoli solo a una morale. […] La vita avanza per passioni, non per ingiunzioni. E la passione nasce da una bellezza. Acquisire fede è acquisire bellezza del vivere: è bello amare, sposarsi, generare, godere della luce e degli abbracci, gustare l’umile piacere di esistere; è bello attendere e stare con l’amico, perché tutto va verso un senso luminoso e positivo, nella finitezza e nell’infinito. La vita non è etica, ma estetica. Nel suo senso letterale, estetico significa sensibile; il suo contrario non è il brutto, ma – letteralmente – anestetico, l’insensibile, l’immobile.

Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessaria per essere felice. Possiamo negarla ma non eliminarla. La dimensione degli affetti, fondamentale per l’equilibrio della persona, necessaria per vivere (se non amiamo, non viviamo: 1Gv 3,14), e per vivere con gioia, è un autentico luogo teologico. [...]

Ogni vivente nasce come persona appassionata, e quel malinteso spirito religioso che ci spinge a negare le nostre passioni inaridisce le sorgenti della vita e rende molti cristiani dei predicatori di morte.

Bisogna non tanto soffocare, ma convertire le passioni; non raggelare, ma liberare i desideri per desiderare Dio. Soltanto chi ama la vita è sensibile al richiamo del Vangelo: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

  • Ami la vita?

  • Sì amo la vita.

  • Allora hai fatto metà del cammino. (Dostoevskij, I fratelli Karamazov)

La santità non consiste in una passione spenta, ma in una passione convertita.

O non è presente dove è assente il cuore. E non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano.

Ermes Ronchi, I baci non dati, Paoline 2017, pp. 12-14

Alcune domande per approfondire l’analisi della realtà

  1. Oltre ad essere una potente molla per l’innamoramento, quanta importanza hanno lo stupore per la bellezza dell’altro e l’attrazione reciproca nella successiva vita di una coppia? È possibile mantenerli vivi nell’arco di una lunga vita insieme?

  2. L’educazione che abbiamo ricevuto ci è stata di aiuto o di ostacolo per vivere con gioia e responsabilità l’esperienza dell’innamoramento e la vita affettiva?

  3. Siamo capaci di atteggiamenti affettuosi e di tenerezza nelle nostre relazioni interpersonali?

  4. Nell’esperienza di fede, ci è accaduto di provare nei confronti del Signore una attrazione e una passione analoghe a quelle che caratterizzano l’esperienza amorosa?

 

Luci dalla Parola - Illuminiamo adesso la nostra riflessione con la luce che proviene dalla Parola di Dio.

 

Invochiamo lo Spirito - O Divino Spirito, Spirito di bellezza, di amore e di gioia. Dopo la Risurrezione di Gesù sei disceso sulla piccola Chiesa riunita nel cenacolo e hai riempito tutti di luce e di gioia. Da quel momento, aprendo le porte, i discepoli hanno potuto manifestare a tutti le meraviglie che avevi operato in loro e al tempo stesso hai aperto il loro cuore e i loro occhi, per contemplare le meraviglie che fin dall’ inizio della creazione operi nel mondo, in ciascuna persona, nella vita e nelle culture dei popoli. Apri in questo momento la nostra mente e il nostro cuore affinché la tua luce ci trasformi e ci faccia testimoni e annunciatori della tua Parola. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen

Leggiamo il testo: Ct 1,2-2-7

1,1Cantico dei Cantici, di Salomone.
2Mi baci con i baci della sua bocca!

Sì, migliore del vino è il tuo amore.

3Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,

aroma che si spande è il tuo nome:

per questo le ragazze di te si innamorano.

4Trascinami con te, corriamo!

M'introduca il re nelle sue stanze:

gioiremo e ci rallegreremo di te,

ricorderemo il tuo amore più del vino.

A ragione di te ci si innamora!

5Bruna sono ma bella,

o figlie di Gerusalemme,

come le tende di Kedar,

come le cortine di Salomone.

6Non state a guardare se sono bruna,

perché il sole mi ha abbronzato.

I figli di mia madre si sono sdegnati con me:

mi hanno messo a guardia delle vigne;

la mia vigna, la mia, non l'ho custodita.

7Dimmi, o amore dell'anima mia,

dove vai a pascolare le greggi,

dove le fai riposare al meriggio,

perché io non debba vagare

dietro le greggi dei tuoi compagni?

8Se non lo sai tu, bellissima tra le donne,

segui le orme del gregge

e pascola le tue caprette

presso gli accampamenti dei pastori.

9Alla puledra del cocchio del faraone

io ti assomiglio, amica mia.

10Belle sono le tue guance fra gli orecchini,

il tuo collo tra i fili di perle.

11Faremo per te orecchini d'oro,

con grani d'argento.

12Mentre il re è sul suo divano,

il mio nardo effonde il suo profumo.

13L'amato mio è per me un sacchetto di mirra,

passa la notte tra i miei seni.

14L'amato mio è per me un grappolo di cipro

nelle vigne di Engàddi.

15Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!

Gli occhi tuoi sono colombe.

16Come sei bello, amato mio, quanto grazioso!

Erba verde è il nostro letto,

17di cedro sono le travi della nostra casa,

di cipresso il nostro soffitto.

2,1Io sono un narciso della pianura di Saron,
un giglio delle valli.
2Come un giglio fra i rovi,

così l'amica mia tra le ragazze.

3Come un melo tra gli alberi del bosco,

così l'amato mio tra i giovani.

Alla sua ombra desiderata mi siedo,

è dolce il suo frutto al mio palato.

4Mi ha introdotto nella cella del vino

e il suo vessillo su di me è amore.

5Sostenetemi con focacce d'uva passa,

rinfrancatemi con mele,

perché io sono malata d'amore.

6La sua sinistra è sotto il mio capo

e la sua destra mi abbraccia.

7Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,

per le gazzelle o per le cerve dei campi:

non destate, non scuotete dal sonno l'amore,

finché non lo desideri.

Riflettiamo insieme sul testo

  1. Quali sensi entrano in gioco nella relazione d’amore descritta nel testo?

  2. Quale significato deve essere attribuito alla vigna?

  3. Quanti paragoni vengono utilizzati dai due amanti nel descriversi reciprocamente?

La voce del Magistero

Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi «l’impoverimento di un valore autentico». San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a «una negazione del valore del sesso umano» o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della procreazione». Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno».

A coloro che temono che con l’educazione delle passioni e della sessualità si pregiudichi la spontaneità dell’amore sessuato, san Giovanni Paolo II rispondeva che l’essere umano è «chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore». È qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo». La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo «il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità». In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono». Nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata «è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione», ma possiede «la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono». L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi. Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che ammira la dignità dell’altro, diventa una «piena e limpidissima affermazione d’amore» che ci mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento «si percepisce che l’esistenza umana è stata un successo» Papa Francesco, Amoris laetitia, 150-152

Preghiamo

Santa Maria, donna innamorata,

roveto inestinguibile di amore,

noi dobbiamo chiederti perdono

per aver fatto un torto alla tua umanità.

Ti abbiamo ritenuta capace

solo di fiamme che si alzano verso il cielo,

ma poi, forse per paura

di contaminarti con le cose della terra..

ti abbiamo esclusa dall’esperienza

delle piccole scintille di quaggiù,

Tu, invece, rogo di carità per il Creatore,

ci sei maestra anche di come si amano le creature.

Aiutaci, perciò, a ricomporre

le assurde dissociazioni con cui,

in tema di amore, portiamo avanti contabilità separate:

una per il cielo (troppo povera in verità),

e l’altra per la terra

(ricca di voci, ma anemica di contenuti).

Facci capire che l’amore è sempre santo,

perché le sue vampe

partono dall’unico incendio di Dio.

Facci comprendere anche

che, con lo stesso fuoco,

oltre che accendere lampade di gioia,

abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata

delle cose più belle della vita.

 

don Tonino Bello

Per portare la Parola nella vita

Cerchiamo di riportare nella nostra quotidianità i frutti scaturiti dalla riflessione di questo incontro. Alcuni suggerimenti:

  1. Organizziamo in parrocchia una festa per i giovani innamorati della comunità, per renderli consapevoli che l’esperienza che stanno vivendo ha valore per tutti noi.

  2. Le coppie del gruppo potrebbero sostare per raccontarsi ciò che hanno provato durante il periodo dell’innamoramento.

  3. Chiediamo ai nostri anziani di raccontarci la loro esperienza.

 

Introduciamo il prossimo incontro: Ct 2,8-17 ___________________________________

 

Come Gesù chi vuol essere grande sia servitore

Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. E l'intero gruppo dei dieci immediatamente si ribella, unanime nella gelosia.
È come se finora Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!». Non sapete quali argini abbattete con questa fame di primeggiare, non capite la forza oscura che nasce da queste ubriacature di potere, che povero cuore ne esce.
Ed ecco le parole con cui Gesù spalanca la differenza cristiana: «tra voi non sia così». I grandi della terra dominano sugli altri... Tra voi non è così!
Credono di governare con la forza... non così tra voi! Chi vuole diventare grande tra voi. Una volontà di grandezza è innata nell'uomo: il non accontentarsi, il "morso del più", il cuore inquieto. Gesù non condanna tutto questo, non vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi.
La santità non è una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande sia servitore. Si converta da "primo" a "servo". Cosa per niente facile, perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che sia il nome difficile, troppo difficile, dell'amore. Eppure il termine servo è la più sorprendente di tutte le autodefinizioni di Gesù: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». Parole che ci consegnano una vertigine: servo allora è un nome di Dio; Dio è mio servitore!
Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re: è il Servo di tutti! Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, ma cinge un asciugamano. Come sarebbe l'umanità se ognuno avesse verso l'altro la premura umile e fattiva di Dio? Se ognuno si inchinasse non davanti al potente ma all'ultimo? Noi non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo non lo farà mai; non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Non finisce di spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, ma lo lavora finché ne sgorghi di nuovo il fuoco. Dio non pretende che siamo già luminosi, opera in noi e con noi perché lo diventiamo.
Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? Il cristiano non ha nessun padrone, eppure è il servitore di ogni frammento di vita. E questo non come riserva di viltà, ma come prodigio di coraggio, quello di Dio in noi, di Dio tutto in tutti..

padre Ermes Ronchi

La libertà che il giovane ricco non ha capito

Un tale corre incontro al Signore. Corre, con un gesto bello, pieno di slancio e desiderio. Ha grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se è vita o no la sua. E alla fine se ne andrà spento e deluso. Triste, perché ha un sogno ma non il coraggio di trasformarlo in realtà. Che cosa ha cambiato tutto? Le parole di Gesù: Vendi quello che hai, dallo ai poveri, e poi vieni. I veri beni, il vero tesoro non sono le cose ma le persone. Per arrivarci, il percorso passa per i comandamenti, che sono i guardiani, gli angeli custodi della vita: non uccidere, non tradire, non rubare. Ma tutto questo l'ho sempre fatto. Eppure non mi basta. Che cosa mi manca ancora? Il ricco vive la beatitudine degli insoddisfatti, cui manca sempre qualcosa, e per questo possono diventare cercatori di tesori. Allora Gesù guardandolo, lo amò. Lo ama per quell'eppure, per quella inquietudine che apre futuro e che ci fa creature di domanda e di ricerca.

Una cosa ti manca, va', vendi, dona.... Quell'uomo non ha un nome, è un tale, di cui sappiamo solo che è molto ricco. Il denaro si è mangiato il suo nome, per tutti è semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perché il denaro non era la loro identità. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Gesù amava, cui si appoggiava con i dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l'hanno impiegato per accrescere la vita attorno a sé. È questo che Gesù intende: tutto ciò che hai dallo ai poveri! Più ancora che la povertà, la condivisione. Più della sobrietà, la solidarietà. Il problema è che Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. E noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini...

Quello che Gesù propone non è tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo libero e pieno di relazioni. Libero, e con cento legami. Come nella risposta a Pietro: Signore, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio una vita moltiplicata. Che si riempie di volti: avrai cento fratelli e sorelle e madri e figli...

Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Il Vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra che impedisce il volo. Messaggio attualissimo: la scoperta che il vivere semplice e sobrio spalanca possibilità inimmaginabili. Allora capiamo che Dio è gioia, libertà e pienezza, che «il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Vannucci). Che ogni discepolo può dire: «con gli occhi nel sole/ a ogni alba io so/ che rinunciare per te/ è uguale a fiorire» (Marcolini).

padre Ermes Ronchi

Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza

Alcuni farisei si avvicinarono a Gesù per metterlo alla prova: «è lecito a un marito ripudiare la moglie?». Chiaro che sì, è pacifico, non solo la tradizione religiosa, ma la stessa Parola di Dio lo legittimava. Gesù invece prende le distanze dalla legge biblica: «per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma». Gesù afferma una cosa enorme: non tutta la legge, che noi diciamo di Dio, ha origine divina, talvolta essa è il riflesso di un cuore duro. Qualcosa vale più della lettera scritta. Simone Weil lo dice in modo luminoso: «Mettere la legge prima della persona è l'essenza della bestemmia». E per questo Gesù, infedele alla lettera per essere fedele allo spirito, ci «insegna ad usare la nostra libertà per custodire il fuoco e non per adorare la cenere!» (G. Mahler). La Bibbia non è un feticcio, vuole intelligenza e cuore.
Gesù non intende redigere altre norme, piantare nuovi paletti. Non vuole regolamentare meglio la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla. E allora ci prende per mano e ci accompagna dentro il sogno di Dio, sogno sorgivo, originario, a guardare la vita non dal punto di vista degli uomini, ma del Dio della creazione. Dio non legifera, crea: «dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina, per questo l'uomo lascerà il padre e la madre, si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, nessuno senza sicurezza, più che di padre, senza tenerezza, più che di madre. Gesù ci porta a respirare l'aria degli inizi: l'uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Il nome di Dio è dal principio colui-che-congiunge?, la sua opera è creare comunione.
La risposta di Gesù provoca la reazione non dei farisei, ma dei discepoli che trovano incomprensibile questo linguaggio e lo interrogano di nuovo sullo stesso argomento. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei». Gesù risponde con un'altra presa di distanza dalla legislazione giudaica: «E se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Nella legge non c'era parità di diritti; alla donna, la parte più debole, non era riconosciuta la possibilità di ripudiare il marito. E Gesù, come al suo solito, si schiera dalla parte dei più deboli, e innalza la donna a uguale dignità, senza distinzioni di genere. Perché l'adulterio sta nel cuore, e il cuore è uguale per tutti. Il peccato vero più che nel trasgredire una norma, consiste nel trasgredire il sogno di Dio. Se non ti impegni a fondo, se non ricuci e ricongiungi, se il tuo amore è duro e aggressivo invece che dolce e umile, tu stai ripudiando il sogno di Dio, sei già adultero nel cuore.

padre Ermes Ronchi

Chi non è contro di noi è per noi

Domenica scorsa Gesù parlava dei bambini, e si diceva a commento che in loro, fragili e poveri di risorse, si potevano vedere anche gli adulti in condizioni economiche, sociali, fisiche e psicologiche di debolezza. Il vangelo di oggi (Marco 9,38-48) torna sull'argomento parlando dei "piccoli", che nel suo linguaggio sono appunto, oltre ai bambini, tutti gli svantaggiati. Per capire le parole del Maestro su di loro, occorre anche chiarire il senso di un'altra parola, "scandalo". Di di per sé, scandalo indica una pietra che fa inciampare il viandante e lo fa cadere, con conseguenze più o meno gravi; ma Gesù la usa in senso morale, per designare quelle parole e quei comportamenti che inducono i "piccoli", più o meno consapevolmente, a convinzioni e comportamenti negativi, dannosi per sé e per gli altri, quando non addirittura colpevoli davanti a Dio. Chi fosse causa di uno scandalo ne porterebbe tutta la responsabilità, con conseguenze gravissime; il divino Maestro lo proclama con parole tra le sue più severe, che non richiedono commento ma solo un risveglio del senso di responsabilità. Dice: "Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare". Prima di questo, il vangelo odierno tocca un altro argomento. "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva" (cioè faceva del bene ma non è dei nostri). Lo dice uno degli apostoli, riflettendo verosimilmente anche la mentalità dei suoi compagni, e non solo loro: di un simile atteggiamento la Bibbia stessa offre altri esempi (come quello già dei tempi di Mosè, esposto nella prima lettura: Numeri 11,25-29) ed altri ancora, numerosi, ne offrono la storia e l'attualità. E' la mentalità settaria di chi ritiene di detenere il monopolio della verità, della giustizia, del bene, e considera usurpatori quanti in qualche misura lo condividono. Ma per i cristiani non è, non deve essere così. "Non glielo impedite", comanda Gesù; "chi non è contro di noi è per noi". Nei secoli, come tuttora specie da parte dei missionari, l'aderenza al vangelo ha portato i cristiani a creare ospedali, scuole, orfanotrofi, mense per i poveri e una miriade di altre opere di assistenza e di promozione della dignità umana. Se poi, come è avvenuto spesso, di quelle opere i governi si sono appropriati (magari anzi, riconoscendone l'utilità e disponendo di mezzi più cospicui, incrementandone numero e qualità), nessuna recriminazione! Se il bene vien fatto, non importa da chi; la carità cristiana trova sempre nuovi campi di applicazione.

Qualche problema semmai sorge con chi pretende di appropriarsi della verità, assumendo un atteggiamento intollerante verso i portatori di altri principi e valori, un atteggiamento che non di rado, anche ai nostri tempi, sfocia in tentativi di prevaricazione quando non -- lo sanno bene i cristiani di troppi Paesi di questo mondo -- in forme aperte o subdole di persecuzione. In proposito torna utile quanto ha affermato il Concilio Vaticano II ("Nostra Aetate", 2) circa i rapporti con le religioni non cristiane: "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini".

Dunque, il Concilio ribadisce che i cristiani non sono una setta; pur senza tradire le proprie convinzioni, sono felici di riconoscere in quelle di altri le consonanze con le proprie, e sono disposti a collaborare con loro per il bene comune; hanno il diritto-dovere di proporre quello in cui credono, ma non pretendono di imporre nulla a nessuno, e si aspettano dagli altri lo stesso atteggiamento.

mons. Roberto Brunelli

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