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Le parole di Papa Francesco

Corpus Domini

Nella [Ultima] Cena Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue mediante il pane e il vino, per lasciarci il memoriale del suo sacrificio di amore infinito. E con questo “viatico” ricolmo di grazia, i discepoli hanno tutto il necessario per il loro cammino lungo la storia, per estendere a tutti il regno di Dio. Luce e forza sarà per loro il dono che Gesù ha fatto di sé, immolandosi volontariamente sulla croce. E questo Pane di vita è giunto fino a noi! Non finisce mai lo stupore della Chiesa davanti a questa realtà. Uno stupore che alimenta sempre la contemplazione, l’adorazione e la memoria. Ce lo dimostra un testo molto bello della Liturgia di oggi, il Responsorio della seconda lettura dell’Ufficio delle Letture, che dice così: «Riconoscete in questo pane, colui che fu crocifisso; nel calice, il sangue sgorgato dal suo fianco. Prendete e mangiate il corpo di Cristo, bevete il suo sangue: poiché ora siete membra di Cristo. Per non disgregarvi, mangiate questo vincolo di comunione; per non svilirvi, bevete il prezzo del vostro riscatto».

C’è un pericolo, c’è una minaccia: disgregarci, svilirci. Cosa significa, oggi, questo “disgregarci” e “svilirci”?

Noi ci disgreghiamo quando non siamo docili alla Parola del Signore, quando non viviamo la fraternità tra di noi, quando gareggiamo per occupare i primi posti - gli arrampicatori -, quando non troviamo il coraggio di testimoniare la carità, quando non siamo capaci di offrire speranza. Così ci disgreghiamo. L’Eucaristia ci permette di non disgregarci, perché è vincolo di comunione, è compimento dell’Alleanza, segno vivente dell’amore di Cristo che si è umiliato e annientato perché noi rimanessimo uniti. Partecipando all’Eucaristia e nutrendoci di essa, noi siamo inseriti in un cammino che non ammette divisioni. Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell’amore superi ogni lacerazione, e al tempo stesso che diventi comunione anche con il più povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana, e sono in pericolo di perdere la fede.

E poi, l’altra parola: che cosa significa oggi per noi “svilirci”, ossia annacquare la nostra dignità cristiana? Significa lasciarci intaccare dalle idolatrie del nostro tempo: l’apparire, il consumare, l’io al centro di tutto; ma anche l’essere competitivi, l’arroganza come atteggiamento vincente, il non dover mai ammettere di avere sbagliato o di avere bisogno. Tutto questo ci svilisce, ci rende cristiani mediocri, tiepidi, insipidi, pagani.

Gesù ha versato il suo Sangue come prezzo e come lavacro, perché fossimo purificati da tutti i peccati: per non svilirci, guardiamo a Lui, abbeveriamoci alla sua fonte, per essere preservati dal rischio della corruzione. E allora sperimenteremo la grazia di una trasformazione: noi rimarremo sempre poveri peccatori, ma il Sangue di Cristo ci libererà dai nostri peccati e ci restituirà la nostra dignità. Ci libererà dalla corruzione. Senza nostro merito, con sincera umiltà, potremo portare ai fratelli l’amore del nostro Signore e Salvatore. Saremo i suoi occhi che vanno in cerca di Zaccheo e della Maddalena; saremo la sua mano che soccorre i malati nel corpo e nello spirito; saremo il suo cuore che ama i bisognosi di riconciliazione, di misericordia e di comprensione.

Così l’Eucaristia attualizza l’Alleanza che ci santifica, ci purifica e ci unisce in comunione mirabile con Dio. Così impariamo che l’Eucaristia non è un premio per i buoni, ma è la forza per i deboli, per i peccatori. E’ il perdono, è il viatico che ci aiuta ad andare, a camminare.

Le parole di Papa Francesco

Santissima Trinità

La festa della Santissima Trinità, ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità è comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente. E Gesù ci ha rivelato questo mistero. Lui ci ha parlato di Dio come Padre; ci ha parlato dello Spirito; e ci ha parlato di Sé stesso come Figlio di Dio. E così ci ha rivelato questo mistero. E quando, risorto, ha inviato i discepoli ad evangelizzare le genti, disse loro di battezzarle «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Questo comando, Cristo lo affida in ogni tempo alla Chiesa, che ha ereditato dagli Apostoli il mandato missionario. Lo rivolge anche a ciascuno di noi che, in forza del Battesimo, facciamo parte della sua Comunità.

Dunque, la solennità liturgica di oggi, mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi.

La Trinità, come accennavo, è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fine, per quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano. Ce lo ricordiamo, ad esempio, ogni volta che facciamo il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Dall’Angelus di Domenica, 31 maggio 2015

Le parole di Papa Francesco

”LA PENTECOSTE E’ IL COMPLEANNO DELLA CHIESA”

L’avvicinarsi della solennità di Pentecoste che il Papa ha definito «il compleanno della Chiesa».  Il brano era tratto dalla Lettera di san Paolo ai Romani: «Il Dio della speranza vi riempia nel credere di ogni gioia e pace. Perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo». È lo Spirito, osserva Francesco, a farci sentire nel mondo «pellegrini e forestieri», a impedirci«di fermarci e diventare sedentari». Citando ancora san Paolo, nella Lettera agli Ebrei, Francesco ricorda che «la speranza è come un’ancora»: ci assicura fermezza e stabilità. Ma la speranza «è anche vela». In quanto ancora «dà sicurezza e tiene ancorata la barca tra l’ondeggiare del mare», in quanto vela ” raccoglie il vento dello Spirito e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva”.   Il Papa poi parla di speranza e si esprime così: “Abbondare nella speranza  significa non scoraggiarsi mai, sperare contro ogni speranza, anche quando viene meno ogni motivo umano di sperare, come fu per Abramo quando Dio gli chiese di sacrificargli l’unico figlio e per Maria sotto la Croce di Gesù”. E ribadisce: “Come potrebbe Colui che ci ha dato li Suo unico Figlio non darci ogni altra cosa insieme con Lui? La speranza non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo dentro ci spinge ad andare avanti, sempre avanti. Per questo la speranza non delude”. In seguito, Francesco parla di energia, un’ energia capace di muovere il mondo: “L’energia capace di muovere il mondo è l’azione dello Spirito di Dio che aleggiava sulle acque all’ inizio della creazione” dice Francesco. Questa consapevolezza ci spinge a rispettare il Creato, poiché «non si può imbrattare un quadro senza offendere l’Autore che l’ha creato”. La prossima festa di Pentecoste, conclude il Papa, «ci trovi concordi in preghiera, e il dono dello Spirito ci faccia abbondare nella speranza. Ci faccia sprecare in speranza con tutti quelli che più ne hanno bisogno».

Le parole di Papa Francesco

Già nel Credo di Nicea troviamo scritto che Gesù “è salito al cielo, siede alla destra del Padre”. Questo evento, ha spiegato il Santo Padre, rappresenta il momento culminante dell’esistenza terrena di Cristo, il quale, quando sente vicino il momento dell’estremo sacrificio, compie una prima “ascensione” verso Gerusalemme.

Recandosi alla Città Santa, “Gesù vede già la meta, il Cielo, ma sa bene che la via che lo riporta alla gloria del Padre passa attraverso la Croce, attraverso l’obbedienza al disegno divino di amore per l’umanità”, ha detto il Papa. Per usare le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, “l’elevazione sulla croce significa e annuncia l’elevazione dell’ascensione al cielo” (n° 661).

Allo stesso modo, anche nella nostra vita quotidiana di cristiani, dobbiamo ricordare che l’ingresso “nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando richiede sacrificio” e ci costringe a “cambiare i nostri programmi”.

È significativo, ha osservato il Pontefice, che l’Ascensione sia avvenuta sul Monte degli Ulivi, lo stesso luogo in cui Gesù “si era ritirato in preghiera prima della passione per rimanere in profonda unione con il Padre”.

Durante l’Ascensione, inoltre, il Risorto dà la sua benedizione ai discepoli, i quali “si inginocchiano chinando il capo”, riconoscendolo come “l’unico ed eterno Sacerdote che, con la sua passione, ha attraversato la morte e il sepolcro ed è risorto e asceso al Cielo”.

Come afferma San Giovanni nella sua Prima Lettera, Gesù è il “nostro avvocato”, è colui che “ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati”. Per questo motivo non dobbiamo avere paura di “andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia”, ha detto il Santo Padre.

L’Ascensione ci mostra una realtà “consolante per il nostro cammino: in Cristo, vero Dio e vero uomo, la nostra umanità è stata portata presso Dio”. Affidandoci al Signore siamo sempre “in mani sicure”, ha aggiunto il Papa. Gesù è come un “capo-cordata” che ci conduce alla scalata verso la vetta della montagna, dove c’è Dio.

Nonostante la definitiva separazione terrena dal Maestro, dopo l’Ascensione, i discepoli tornano a Gerusalemme “con grande gioia”. Hanno infatti compreso che “sebbene sottratto ai loro occhi, Gesù resta per sempre con loro, non li abbandona e, nella gloria del Padre, li sostiene, li guida e intercede per loro”, ha proseguito Francesco.

Narrando dell’Ascensione anche all’inizio degli Atti degli Apostoli, San Luca ci fa capire che questo evento “è come l’anello che aggancia e collega la vita terrena di Gesù a quella della Chiesa”.

Quando poi Gesù ascende al cielo, seminascosto da una nube, appaiono “due uomini in vesti bianche che li invitano a non restare immobili a guardare il cielo, ma a nutrire la loro vita e la loro testimonianza della certezza che Gesù tornerà nello stesso modo con cui lo hanno visto salire al cielo (cfr At 1,10-11)”.

È nella “contemplazione della Signoria di Cristo”, quindi, che possiamo trarre “la forza di portare e testimoniare il Vangelo nella vita di ogni giorno – ha spiegato il Santo Padre -. Contemplare e agire, ora et labora insegna san Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani”.

L’Ascensione, in definitiva, non indica “l’assenza di Gesù” ma ci rivela che “Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo”, presente ovunque, “in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi”.

Papa Francesco ha concluso la catechesi, ricordando la felice presenza di “tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio”.

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