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Le parole di Papa Francesco

«Io sono la via, la verità e la vita». La conoscenza di Gesù è il lavoro più importante della nostra vita. Ma come possiamo conoscere Gesù? Qualcuno dirà: “Studiando, padre. Si deve studiare tanto!”. È vero! Dobbiamo studiare il catechismo. Ma non basta: Alcuni hanno questa fantasia che con le idee, solo le idee ci porteranno alla conoscenza di Gesù. Le idee sole non danno vita e chi va per questa strada di sole idee finisce in un labirinto e non esce più! È per questo che dall’inizio della Chiesa ci sono le eresie. Le eresie sono questo: cercare di capire con le nostre menti e con la nostra luce soltanto chi è Gesù.

LE TRE PORTE. Bisogna aprire tre porte per conoscere Gesù. «Prima porta: pregare Gesù. Sappiate che lo studio senza preghiera non serve. Pregare Gesù per conoscerlo meglio. I grandi teologi fanno teologia in ginocchio. Pregare Gesù! E con lo studio, con la preghiera ci avviciniamo un po’… Ma senza preghiera mai conosceremo Gesù. Mai! Seconda porta: celebrare Gesù. Non basta la preghiera, è necessaria la gioia della celebrazione. Celebrare Gesù nei suoi Sacramenti, perché lì ci dà la vita, ci dà la forza, ci dà il pasto, ci dà il conforto, ci dà l’alleanza, ci dà la missione. Senza la celebrazione dei Sacramenti, non arriviamo a conoscere Gesù. Questo è proprio della Chiesa: la celebrazione. Terza porta: imitare Gesù. Prendere il Vangelo: cosa ha fatto Lui, come era la sua vita, cosa ci ha detto, cosa ci ha insegnato e cercare di imitarlo».

PREGARE NON COME PAPPAGALLI. Attraversare queste tre porte ci consente di «entrare nel mistero di Gesù. Questo significa pregare, celebrare e imitare. E così troveremo la via per andare alla verità e alla vita. Possiamo oggi, durante la giornata, pensare a come va la porta della preghiera nella mia vita: ma la preghiera dal cuore, non è quella del pappagallo! Quella del cuore, come va? Come va la celebrazione cristiana nella mia vita? E come va l’imitazione di Gesù nella mia vita? Come deve imitarlo? Davvero non ti ricordi! Perché il Libro del Vangelo è pieno di polvere, perché mai si apre! Prendi il Libro del Vangelo, aprilo e troverai come imitare Gesù! Pensiamo a queste tre porte come stanno nella nostra vita e ci farà bene a tutti».

Le parole di Papa Francesco

Perché Gesù si è chiamato il buon Pastore? La domanda si pone ogni anno in questa domenica per riscoprire, con stupore sempre nuovo, la definizione che Gesù dà di sé, rileggendola alla luce della sua passione, morte e risurrezione. Solo così diventa chiaro significato di buon pastore: “dà la vita, ha offerto la sua vita in sacrificio per tutti noi: per te, per me, per tutti. Questo è il buon pastore!”

Cristo è il pastore vero, unico pastore del popolo, in aperta opposizione ai falsi pastori: il cattivo pastore pensa a sé stesso e sfrutta le pecore; il pastore buono pensa alle pecore e dona sé stesso. A differenza del mercenario, Cristo pastore è una guida premurosa che partecipa alla vita del suo gregge, non ricerca altro interesse, non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire, proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita.

Quindi l’invito a contemplare in Gesù “pastore buono”, “la Provvidenza di Dio, la sua sollecitudine paterna per ciascuno di noi”.

Di fronte a questo amore di Dio, noi sperimentiamo una gioia immensa e ci apriamo alla riconoscenza per quanto abbiamo ricevuto gratuitamente.

Ma contemplare e ringraziare non basta, “Occorre anche seguire il Buon Pastore. In particolare, quanti hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, vescovi, Papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia”.

dall'’Angelus del 26/04/2015

Le parole di Papa Francesco

I discepoli di Emmaus “lasciano Gerusalemme e ritornano, tristi e abbattuti, verso il loro villaggio, chiamato appunto Emmaus”. Non riconoscono subito Gesù. Il quale “dapprima li aiutò a capire che la passione e la morte del Messia erano previste nel disegno di Dio e preannunciate nelle Sacre Scritture; e così riaccese un fuoco di speranza nei loro cuori. A quel punto, i due discepoli avvertirono una straordinaria attrazione verso quell’uomo misterioso, e lo invitarono a restare con loro quella sera. Gesù accettò ed entrò con loro in casa. E quando, stando a mensa, benedisse il pane e lo spezzò, essi lo riconobbero, ma Lui sparì dalla loro vista, lasciandoli pieni di stupore”.

I discepoli, dopo essere stati illuminati dalla parola, aver riconosciuto Gesù, aver sentito la sua presenza, “subito sentirono il bisogno di ritornare a Gerusalemme, per riferire agli altri discepoli questa loro esperienza, che avevano incontrato Gesù vivo e lo avevano riconosciuto in quel gesto della frazione del pane”.

Anche noi arriviamo spesso alla Messa domenicale con le nostre preoccupazioni, le nostre difficoltà e delusioni… La vita a volte ci ferisce e noi ce ne andiamo tristi, verso la nostra ‘Emmaus’, voltando le spalle al disegno di Dio. Ma ci accoglie la Liturgia della Parola: Gesù ci spiega le Scritture e riaccende nei nostri cuori il calore della fede e della speranza.

Prego perché ogni cristiano, rivivendo l’esperienza dei discepoli di Emmaus, specialmente nella Messa domenicale, riscopra la grazia dell’incontro trasformante con il Signore risorto. C’è sempre una Parola di Dio che ci dà l’orientamento dopo i nostri sbandamenti; e attraverso le nostre stanchezze e delusioni c’è sempre un Pane spezzato che ci fa andare avanti nel nostro cammino.

I discepoli di Emmaus “lasciano Gerusalemme e ritornano, tristi e abbattuti, verso il loro villaggio, chiamato appunto Emmaus”. Non riconoscono subito Gesù. Il quale “dapprima li aiutò a capire che la passione e la morte del Messia erano previste nel disegno di Dio e preannunciate nelle Sacre Scritture; e così riaccese un fuoco di speranza nei loro cuori. A quel punto, i due discepoli avvertirono una straordinaria attrazione verso quell’uomo misterioso, e lo invitarono a restare con loro quella sera. Gesù accettò ed entrò con loro in casa. E quando, stando a mensa, benedisse il pane e lo spezzò, essi lo riconobbero, ma Lui sparì dalla loro vista, lasciandoli pieni di stupore”.

I discepoli, dopo essere stati illuminati dalla parola, aver riconosciuto Gesù, aver sentito la sua presenza, “subito sentirono il bisogno di ritornare a Gerusalemme, per riferire agli altri discepoli questa loro esperienza, che avevano incontrato Gesù vivo e lo avevano riconosciuto in quel gesto della frazione del pane”.

Le parole di Papa Francesco

Il Vangelo di Giovanni ci documenta le due apparizioni di Gesù Risorto agli Apostoli riuniti nel Cenacolo: quella della sera di Pasqua, assente Tommaso, e quella dopo otto giorni, presente Tommaso. La prima volta, il Signore mostrò le ferite del suo corpo ai discepoli, fece il segno di soffiare su di loro e disse: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Trasmette ad essi la sua stessa missione, con la forza dello Spirito Santo.

Ma quella sera mancava Tommaso, il quale non volle credere alla testimonianza degli altri. “Se non vedo e non tocco le sue piaghe – disse –, io non credo” (cfr Gv 20,25). Otto giorni dopo – cioè proprio come oggi – Gesù ritorna a presentarsi in mezzo ai suoi e si rivolge subito a Tommaso, invitandolo a toccare le ferite delle sue mani e del suo fianco. Viene incontro alla sua incredulità, perché, attraverso i segni della passione, possa raggiungere la pienezza della fede pasquale, cioè la fede nella risurrezione di Gesù.

Tommaso è uno che non si accontenta e cerca, intende verificare di persona, compiere una propria esperienza personale. Dopo le iniziali resistenze e inquietudini, alla fine arriva anche lui a credere, pur avanzando con fatica, ma arriva alla fede. Gesù lo attende pazientemente e si offre alle difficoltà e alle insicurezze dell’ultimo arrivato. Il Signore proclama “beati” quelli che credono senza vedere (cfr v. 29) – e la prima di questi è Maria sua Madre –, però viene incontro anche all’esigenza del discepolo incredulo: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani…» (v. 27). Al contatto salvifico con le piaghe del Risorto, Tommaso manifesta le proprie ferite, le proprie piaghe, le proprie lacerazioni, la propria umiliazione; nel segno dei chiodi trova la prova decisiva che era amato, che era atteso, che era capito. Si trova di fronte un Messia pieno di dolcezza, di misericordia, di tenerezza. Era quello il Signore che cercava, lui, nelle profondità segrete del proprio essere, perché aveva sempre saputo che era così. E quanti di noi cerchiamo nel profondo del cuore di incontrare Gesù, così come è: dolce, misericordioso, tenero! Perché noi sappiamo, nel profondo, che Lui è così. Ritrovato il contatto personale con l’amabilità e la misericordiosa pazienza del Cristo, Tommaso comprende il significato profondo della sua Risurrezione e, intimamente trasformato, dichiara la sua fede piena e totale in Lui esclamando: «Mio Signore e mio Dio!» (v. 28). Bella, bella espressione, questa di Tommaso!

Egli ha potuto “toccare” il Mistero pasquale che manifesta pienamente l’amore salvifico di Dio, ricco di misericordia (cfr Ef 2,4). E come Tommaso anche tutti noi: in questa seconda Domenica di Pasqua siamo invitati a contemplare nelle piaghe del Risorto la Divina Misericordia, che supera ogni umano limite e risplende sull’oscurità del male e del peccato. Teniamo lo sguardo rivolto a Lui, che sempre ci cerca, ci aspetta, ci perdona; tanto misericordioso, non si spaventa delle nostre miserie. Nelle sue piaghe ci guarisce e perdona tutti i nostri peccati. E la Vergine Madre ci aiuti ad essere misericordiosi con gli altri come Gesù lo è con noi.

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