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Le parole di Papa Francesco

Le Beatitudini sono il programma, la carta d’identità del cristiano. Se qualcuno di noi fa la domanda: ‘Come si fa per diventare un buon cristiano?’, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose tanto controcorrente rispetto a quello che abitualmente si fa nel mondo. Beati i poveri in spirito. Le ricchezze non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati:

Ma il mondo ci dice: la gioia, la felicità, il divertimento, quello è il bello della vita. E ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza.

Se io sono mite nella vita io sono uno stolto. Pensino pure quello, ma tu sei mite, perché con questa mitezza avrai in eredità la Terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo. E’ tanto facile entrare nelle cricche della corruzione, quella politica quotidiana del do ut des. Tutto è affari. E quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie. E Gesù dice: “Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie”. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri. Gesù non dice “beati quelli che fanno la vendetta, che si vendicano”.

“Beati quelli che perdonano, misericordiosi. Perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati”.

Beati i perseguitati per la giustizia. Quanta gente è perseguitata, è stata perseguitata semplicemente per avere lottato per la giustizia. Questo delle Beatitudini è il programma di vita che ci propone Gesù, tanto semplice, ma tanto difficile. E se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni, quel protocollo sul quale noi saremo giudicati, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi”. Con queste due cose – Beatitudini e Matteo 25 – “si può vivere la vita cristiana a livello di santità”:

Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla. Oggi, se voi avete un po’ di tempo a casa, prendete il Vangelo, il Vangelo di Matteo, capitolo quinto, all’inizio ci sono queste Beatitudini; capitolo 25, ci sono le altre. E vi farà bene leggerlo una volta, due volte, tre volte. Ma leggere questo, che è il programma di santità. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio.

Le parole di Papa Francesco

La vita cristiana è una lotta: dobbiamo sentire il cuore che lotta!

 
Papa Francesco ha descritto la vita cristiana come una lotta nel corso della quale siamo tentati più volte e basandoci unicamente sulle nostre forze umane è impossibile vincere queste tentazioni: la nostra unica salvezza è Gesù, il quale è venuto per distruggere l’influsso del male sui nostri cuori.

Ci rendiamo conto di questo, ha commentato Francesco osservando la grande folla che seguiva sempre Gesù. Era una folla spontanea: nessuno li portava da Gesù, e neppure nessuno li pagava per andare da Gesù. Non era come “quando si organizzano manifestazioni e tanti devono andare lì per ‘verificare’ la presenza, per non perdere poi il posto di lavoro”: no! Nel caso di Gesù erano persone a cui piaceva “sentire Gesù, perché parlava non come i loro dottori, ma parlava con autorità” e “questo toccava il cuore”.

E perché queste persone andavano da Gesù? Perché in Lui percepivano l’attrazione del Padre: “questa folla la attirava il Padre: era il Padre che attirava la gente a Gesù“. E Gesù, al vedere la folla, non rimaneva impassibile, ma faceva proprie le loro sofferenze e anche le loro gioie.

Tuttavia ci dobbiamo soffermare su un passo della Scrittura che ci indica come gli spiriti impuri quando vedevano Gesù, gridavano: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Non è un caso che il Vangelo ci dica questo. Tutti noi, a poco a poco che ci avviciniamo a Gesù, notiamo come gli spiriti impuri si rendano conto della presenza di Gesù e cercano di impedirci di avvicinarci ulteriormente a Lui, “ci fanno la guerra. ‘Ma, Padre, io sono molto cattolico; io vado sempre a Messa… Ma mai, mai ho queste tentazioni. Grazie a Dio, no!’ – ha detto Bergoglio – ‘Prega, perché sei su una strada sbagliata!’. Una vita cristiana senza tentazioni non è cristiana: è ideologica, è gnostica, ma non è cristiana. Quando il Padre attira la gente a Gesù, c’è un altro che attira in modo contrario e ti fa la guerra dentro! E per questo Paolo parla della vita cristiana come di una lotta: una lotta di tutti i giorni. Una lotta!”.

La vita cristiana, ha dunque concluso Papa Francesco, “è una lotta così: o tu ti lasci attirare da Gesù per mezzo del Padre o puoi dire ‘Io rimango tranquillo, in pace’”. Pertanto, per sapere di essere nel giusto cammino, “devi lottare! Sentire il cuore che lotta, perché Gesù vinca”.

Ci farà bene, oggi, fare un breve esame di coscienza e chiederci: “com’è il nostro cuore: io sento questa lotta nel mio cuore? Fra la comodità o il servizio agli altri, fra divertirmi un po’ o fare preghiera e adorare il Padre, fra una cosa e l’altra, sento la lotta? la voglia di fare il bene o qualcosa che mi ferma? Io credo che la mia vita commuova il cuore di Gesù? Se io non credo questo, devo pregare tanto per crederlo, perché mi sia data questa grazia. Ognuno di noi cerchi nel suo cuore come va la situazione lì. E chiediamo al Signore di essere cristiani che sappiano discernere cosa succede nel proprio cuore e scegliere bene la strada sulla quale il Padre ci attira a Gesù“.

Le parole di Papa Francesco

Non inseguiamo gli idoli che danno false speranze.

“Sperare è un bisogno primario dell’uomo: sperare nel futuro, credere nella vita, il cosiddetto pensare positivo”. Lo ha detto il Papa, che ha dedicato l’udienza dell’11 gennaio al Salmo 115, per ribadire l’importanza che “la speranza sia riposta in ciò che veramente può aiutare a vivere e a dare senso alla nostra esistenza”. “È per questo che la Sacra Scrittura ci mette in guardia contro le false speranze che il mondo ci presenta, smascherando la loro inutilità e mostrandone l’insensatezza”, ha spiegato Francesco: “E lo fa in vari modi, ma soprattutto denunciando la falsità degli idoli in cui l’uomo è continuamente tentato di riporre la sua fiducia, facendone l’oggetto della sua speranza”. “I profeti e sapienti insistono su questo, toccando un punto nevralgico del cammino di fede del credente”, ha proseguito: “Perché fede è fidarsi di Dio. Chi ha fede si fida di Dio, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete”. “E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere”, ha ammonito.

“A noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto!”. Lo ha esclamato, a braccio, il Papa, che ha denunciato come a volte cerchiamo “consolazioni effimere” e “pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie”. A volte, invece, “le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero”.
“Questo è l’idolo e noi siamo tanto attaccati agli idoli, compriamo false speranze”, ha denunciato Francesco: “E di quella speranza che ci ha dato gratuitamente Cristo, che ha dato la sua vita per noi, non ci fidiamo tanto”. “Noi siamo più contenti di andare dagli idoli che di andare dal Signore: siamo tante volte più contenti dell’effimera speranza, falsa, che ti dà questo idolo che della grande speranza, sicura, che ci dà il Signore”. Con queste parole, pronunciate a braccio, il Papa ha commentato il Salmo 115, in cui “il salmista ci presenta, in modo anche un po’ ironico, la realtà assolutamente effimera di questi idoli”. “E dobbiamo capire che non si tratta solo di raffigurazioni fatte di metallo o di altro materiale, ma anche di quelle costruite con la nostra mente, quando ci fidiamo di realtà limitate che trasformiamo in assolute, o quando riduciamo Dio ai nostri schemi e alle nostre idee di divinità”, ha ammonito il Papa: “Un dio che ci assomiglia, comprensibile, prevedibile, proprio come gli idoli di cui parla il salmo”. L'uomo "si fabbrica un dio a sua propria immagine, ed è anche un’immagine mal riuscita”, ha commentato Francesco: “Non sente, non agisce, e soprattutto non può parlare”. "Anche noi, uomini di Chiesa, corriamo questo rischio" di trovare degli idoli "nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie" ha aggiunto il Pontefice.

Omelia del Santo Padre Francesco - 6 gennaio 2016

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

 

Le parole del profeta Isaia – rivolte alla città santa Gerusalemme – ci chiamano ad alzarci, ad uscire, uscire dalle nostre chiusure, uscire da noi stessi, e a riconoscere lo splendore della luce che illumina la nostra esistenza: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (60,1). La “tua luce” è la gloria del Signore. La Chiesa non può illudersi di brillare di luce propria, non può. Lo ricorda con una bella espressione sant’Ambrogio, utilizzando la luna come metafora della Chiesa: «Veramente come la luna è la Chiesa: […] rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo. Trae il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”» (Exameron, IV, 8, 32). Cristo è la vera luce che rischiara; e nella misura in cui la Chiesa rimane ancorata a Lui, nella misura in cui si lascia illuminare da Lui, riesce a illuminare la vita delle persone e dei popoli. Per questo i santi Padri riconoscevano nella Chiesa il “mysterium lunae”.

Abbiamo bisogno di questa luce che viene dall’alto per corrispondere in maniera coerente alla vocazione che abbiamo ricevuto. Annunciare il Vangelo di Cristo non è una scelta tra le tante che possiamo fare, e non è neppure una professione. Per la Chiesa, essere missionaria non significa fare proselitismo; per la Chiesa, essere missionaria equivale ad esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio e riflettere la sua luce. Questo è il suo servizio. Non c’è un’altra strada. La missione è la sua vocazione: far risplendere la luce di Cristo è il suo servizio. Quante persone attendono da noi questo impegno missionario, perché hanno bisogno di Cristo, hanno bisogno di conoscere il volto del Padre.

I Magi, di cui ci parla il Vangelo di Matteo, sono testimonianza vivente del fatto che i semi di verità sono presenti ovunque, perché sono dono del Creatore che chiama tutti a riconoscerlo come Padre buono e fedele. I Magi rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio. Davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità. E la Chiesa ha il compito di riconoscere e far emergere in modo più chiaro il desiderio di Dio che ognuno porta in sé. Questo è il servizio della Chiesa, con la luce che essa riflette: far emergere il desiderio di Dio che ognuno porta in sé. Come i Magi tante persone, anche ai nostri giorni, vivono con il “cuore inquieto” che continua a domandare senza trovare risposte certe - è l’inquietudine dello Spirito Santo che si muove nei cuori. Sono anche loro alla ricerca della stella che indica la strada verso Betlemme.

Quante stelle ci sono nel cielo! Eppure, i Magi ne hanno seguita una diversa, nuova, che per loro brillava molto di più. Avevano scrutato a lungo il grande libro del cielo per trovare una risposta ai loro interrogativi - avevano il cuore inquieto -, e finalmente la luce era apparsa. Quella stella li cambiò. Fece loro dimenticare gli interessi quotidiani, e si misero subito in cammino. Diedero ascolto ad una voce che nell’intimo li spingeva a seguire quella luce - è la voce dello Spirito Santo, che opera in tutte le persone -; ed essa li guidò finché trovarono il re dei Giudei in una povera casa di Betlemme.

Tutto questo è un insegnamento per noi. Oggi ci farà bene ripetere la domanda dei Magi: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2). Siamo sollecitati, soprattutto in un periodo come il nostro, a porci in ricerca dei segni che Dio offre, sapendo che richiedono il nostro impegno per decifrarli e comprendere così la sua volontà. Siamo interpellati ad andare a Betlemme per trovare il Bambino e sua Madre. Seguiamo la luce che Dio ci offre – piccolina…; l’inno del breviario poeticamente ci dice che i Magi “lumen requirunt lumine”: quella piccola luce –, la luce che promana dal volto di Cristo, pieno di misericordia e di fedeltà. E, una volta giunti davanti a Lui, adoriamolo con tutto il cuore, e presentiamogli i nostri doni: la nostra libertà, la nostra intelligenza, il nostro amore. La vera sapienza si nasconde nel volto di questo Bambino. E’ qui, nella semplicità di Betlemme, che trova sintesi la vita della Chiesa. E’ qui la sorgente di quella luce, che attrae a sé ogni persona nel mondo e orienta il cammino dei popoli sulla via della pace.

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