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Le parole di Papa Francesco

Non inseguiamo gli idoli che danno false speranze.

“Sperare è un bisogno primario dell’uomo: sperare nel futuro, credere nella vita, il cosiddetto pensare positivo”. Lo ha detto il Papa, che ha dedicato l’udienza dell’11 gennaio al Salmo 115, per ribadire l’importanza che “la speranza sia riposta in ciò che veramente può aiutare a vivere e a dare senso alla nostra esistenza”. “È per questo che la Sacra Scrittura ci mette in guardia contro le false speranze che il mondo ci presenta, smascherando la loro inutilità e mostrandone l’insensatezza”, ha spiegato Francesco: “E lo fa in vari modi, ma soprattutto denunciando la falsità degli idoli in cui l’uomo è continuamente tentato di riporre la sua fiducia, facendone l’oggetto della sua speranza”. “I profeti e sapienti insistono su questo, toccando un punto nevralgico del cammino di fede del credente”, ha proseguito: “Perché fede è fidarsi di Dio. Chi ha fede si fida di Dio, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete”. “E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere”, ha ammonito.

“A noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto!”. Lo ha esclamato, a braccio, il Papa, che ha denunciato come a volte cerchiamo “consolazioni effimere” e “pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie”. A volte, invece, “le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero”.
“Questo è l’idolo e noi siamo tanto attaccati agli idoli, compriamo false speranze”, ha denunciato Francesco: “E di quella speranza che ci ha dato gratuitamente Cristo, che ha dato la sua vita per noi, non ci fidiamo tanto”. “Noi siamo più contenti di andare dagli idoli che di andare dal Signore: siamo tante volte più contenti dell’effimera speranza, falsa, che ti dà questo idolo che della grande speranza, sicura, che ci dà il Signore”. Con queste parole, pronunciate a braccio, il Papa ha commentato il Salmo 115, in cui “il salmista ci presenta, in modo anche un po’ ironico, la realtà assolutamente effimera di questi idoli”. “E dobbiamo capire che non si tratta solo di raffigurazioni fatte di metallo o di altro materiale, ma anche di quelle costruite con la nostra mente, quando ci fidiamo di realtà limitate che trasformiamo in assolute, o quando riduciamo Dio ai nostri schemi e alle nostre idee di divinità”, ha ammonito il Papa: “Un dio che ci assomiglia, comprensibile, prevedibile, proprio come gli idoli di cui parla il salmo”. L'uomo "si fabbrica un dio a sua propria immagine, ed è anche un’immagine mal riuscita”, ha commentato Francesco: “Non sente, non agisce, e soprattutto non può parlare”. "Anche noi, uomini di Chiesa, corriamo questo rischio" di trovare degli idoli "nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie" ha aggiunto il Pontefice.

Omelia del Santo Padre Francesco - 6 gennaio 2016

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

 

Le parole del profeta Isaia – rivolte alla città santa Gerusalemme – ci chiamano ad alzarci, ad uscire, uscire dalle nostre chiusure, uscire da noi stessi, e a riconoscere lo splendore della luce che illumina la nostra esistenza: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (60,1). La “tua luce” è la gloria del Signore. La Chiesa non può illudersi di brillare di luce propria, non può. Lo ricorda con una bella espressione sant’Ambrogio, utilizzando la luna come metafora della Chiesa: «Veramente come la luna è la Chiesa: […] rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo. Trae il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”» (Exameron, IV, 8, 32). Cristo è la vera luce che rischiara; e nella misura in cui la Chiesa rimane ancorata a Lui, nella misura in cui si lascia illuminare da Lui, riesce a illuminare la vita delle persone e dei popoli. Per questo i santi Padri riconoscevano nella Chiesa il “mysterium lunae”.

Abbiamo bisogno di questa luce che viene dall’alto per corrispondere in maniera coerente alla vocazione che abbiamo ricevuto. Annunciare il Vangelo di Cristo non è una scelta tra le tante che possiamo fare, e non è neppure una professione. Per la Chiesa, essere missionaria non significa fare proselitismo; per la Chiesa, essere missionaria equivale ad esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio e riflettere la sua luce. Questo è il suo servizio. Non c’è un’altra strada. La missione è la sua vocazione: far risplendere la luce di Cristo è il suo servizio. Quante persone attendono da noi questo impegno missionario, perché hanno bisogno di Cristo, hanno bisogno di conoscere il volto del Padre.

I Magi, di cui ci parla il Vangelo di Matteo, sono testimonianza vivente del fatto che i semi di verità sono presenti ovunque, perché sono dono del Creatore che chiama tutti a riconoscerlo come Padre buono e fedele. I Magi rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio. Davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità. E la Chiesa ha il compito di riconoscere e far emergere in modo più chiaro il desiderio di Dio che ognuno porta in sé. Questo è il servizio della Chiesa, con la luce che essa riflette: far emergere il desiderio di Dio che ognuno porta in sé. Come i Magi tante persone, anche ai nostri giorni, vivono con il “cuore inquieto” che continua a domandare senza trovare risposte certe - è l’inquietudine dello Spirito Santo che si muove nei cuori. Sono anche loro alla ricerca della stella che indica la strada verso Betlemme.

Quante stelle ci sono nel cielo! Eppure, i Magi ne hanno seguita una diversa, nuova, che per loro brillava molto di più. Avevano scrutato a lungo il grande libro del cielo per trovare una risposta ai loro interrogativi - avevano il cuore inquieto -, e finalmente la luce era apparsa. Quella stella li cambiò. Fece loro dimenticare gli interessi quotidiani, e si misero subito in cammino. Diedero ascolto ad una voce che nell’intimo li spingeva a seguire quella luce - è la voce dello Spirito Santo, che opera in tutte le persone -; ed essa li guidò finché trovarono il re dei Giudei in una povera casa di Betlemme.

Tutto questo è un insegnamento per noi. Oggi ci farà bene ripetere la domanda dei Magi: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2). Siamo sollecitati, soprattutto in un periodo come il nostro, a porci in ricerca dei segni che Dio offre, sapendo che richiedono il nostro impegno per decifrarli e comprendere così la sua volontà. Siamo interpellati ad andare a Betlemme per trovare il Bambino e sua Madre. Seguiamo la luce che Dio ci offre – piccolina…; l’inno del breviario poeticamente ci dice che i Magi “lumen requirunt lumine”: quella piccola luce –, la luce che promana dal volto di Cristo, pieno di misericordia e di fedeltà. E, una volta giunti davanti a Lui, adoriamolo con tutto il cuore, e presentiamogli i nostri doni: la nostra libertà, la nostra intelligenza, il nostro amore. La vera sapienza si nasconde nel volto di questo Bambino. E’ qui, nella semplicità di Betlemme, che trova sintesi la vita della Chiesa. E’ qui la sorgente di quella luce, che attrae a sé ogni persona nel mondo e orienta il cammino dei popoli sulla via della pace.

Le frasi più belle di Papa Francesco sul Natale

In questa notte risplende una «grande luce» (Is 9,1); su tutti noi rifulge la luce della nascita di Gesù. Quanto sono vere e attuali le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (9,2)!

Oggi il Figlio di Dio è nato: tutto cambia. Il Salvatore del mondo viene a farsi partecipe della nostra natura umana, non siamo più soli e abbandonati.

La Vergine ci offre il suo Figlio come principio di vita nuova. La luce vera viene a rischiarare la nostra esistenza, spesso rinchiusa nell’ombra del peccato.

Oggi scopriamo nuovamente chi siamo! In questa notte ci viene reso manifesto il cammino da percorrere per raggiungere la meta. Ora, deve cessare ogni paura e spavento, perché la luce ci indica la strada verso Betlemme.

Non possiamo rimanere inerti. Non ci è lecito restare fermi. Dobbiamo andare a vedere il nostro Salvatore deposto in una mangiatoia. Ecco il motivo della gioia e della letizia: questo Bambino è «nato per noi», è «dato a noi», come annuncia Isaia (cfr 9,5).

Quando, dunque, sentiamo parlare della nascita di Cristo, restiamo in silenzio e lasciamo che sia quel Bambino a parlare; imprimiamo nel nostro cuore le sue parole senza distogliere lo sguardo dal suo volto. Se lo prendiamo tra le nostre braccia e ci lasciamo abbracciare da Lui, ci porterà la pace del cuore che non avrà mai fine.

Questo Bambino ci insegna che cosa è veramente essenziale nella nostra vita. Nasce nella povertà del mondo, perché per Lui e la sua famiglia non c’è posto in albergo. Trova riparo e sostegno in una stalla ed è deposto in una mangiatoia per animali. Eppure, da questo nulla, emerge la luce della gloria di Dio.

In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale.

Dentro una cultura dell’indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata, il nostro stile di vita sia invece colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera.

Come per i pastori di Betlemme, possano anche i nostri occhi riempirsi di stupore e meraviglia, contemplando nel Bambino Gesù il Figlio di Dio. E, davanti a Lui, sgorghi dai nostri cuori l’invocazione: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (Sal 85,8).

(tratte dall’Omelia di Papa Francesco per la S. Messa nella notte di Natale del 24 dicembre 2015)

Le parole di Papa Francesco

L’amore cristiano è concreto, no a ideologie e intellettualismi!

L’amore del cristiano è concreto, non è l’amore “soft” di una telenovela.

E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina del 11 novembre a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da quelle ideologie e intellettualismi che “scarnificano la Chiesa”, ribadendo che il criterio dell’amore cristiano è “l’Incarnazione del Verbo”.
Un dialogo di amore fra il pastore e la sua Sposa, la Chiesa. Papa Francesco prende spunto dalla prima lettura, un passo della seconda Lettera di San Giovanni Apostolo, per soffermarsi sulla natura dell’amore cristiano. Innanzi tutto, rammenta che il comandamento che abbiamo ricevuto dal Signore è di “camminare nell’amore”. Ma di quale amore si tratta, si chiede il Pontefice? Questa parola, osserva, “è usata oggi” per tante cose. Si parla di amore in un romanzo o in una telenovela, di amore teorico. 
Ma qual è dunque, riprende, “il criterio dell’amore cristiano?” Il criterio dell’amore cristiano, sottolinea Francesco, “è l’Incarnazione del Verbo”. E chi nega questo, chi non lo riconosce, è il suo ammonimento, “è l’anticristo!”:  […]

Che non riconosce che il Verbo è venuto in Carne. E questa è la nostra verità: Dio ha inviato suo Figlio, si è incarnato e ha fatto una vita come noi. Amare come ha amato Gesù; amare come ci ha insegnato Gesù; amare dietro l’esempio di Gesù; amare, camminando sulla strada di Gesù. E la strada di Gesù è dare la vita”. 
“L’unica maniera di amare come ha amato Gesù – prosegue il Papa – è uscire continuamente dal proprio egoismo e andare al servizio degli altri”. E questo perché l’amore cristiano “è un amore concreto, perché è concreta la presenza di Dio in Gesù Cristo”. 
Quindi, mette in guardia da chi va oltre questa “dottrina della carne”, dell’Incarnazione, perché così facendo “non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio”: 
“Questo andare oltre è un mistero: è uscire dal Mistero dell’Incarnazione del Verbo, del Mistero della Chiesa. […] Francesco avverte poi che “chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente”. E questo modo di “fare delle teorie, delle ideologie – soggiunge – anche delle proposte di religiosità che tolgono la Carne al Cristo, che tolgono la Carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa”.
Ancora ammonisce che “se incominciamo a teorizzare sull’amore” arriveremo alla “trasformazione” di quello che Dio “ha voluto con l’Incarnazione del Verbo, arriveremo ad un Dio senza Cristo, a un Cristo senza Chiesa e ad una Chiesa senza popolo. Tutto in questo processo di scarnificare la Chiesa”: “Preghiamo il Signore perché il nostro camminare nell’amore mai - mai! - faccia di noi un amore astratto. Ma che l’amore sia concreto, con le opere di misericordia, che si tocca la Carne di Cristo lì, di Cristo Incarnato. […]

 


Si propone l’acquisto del volume “Amoris laetitia” – esortazione apostolica sull’amore nella famiglia di Papa Francesco

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