“Tempo di conversione”, quello presentatoci oggi dalla liturgia della seconda domenica di avvento e dalla Parola ascoltata. Che significa tempo di conversione o cambiamento, se è vero come ripeteva il saggio Qohèlet che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”?
È vero che l’uomo è affamato e assetato di novità, ma queste, in genere, scalfiscono l’esterno dell’uomo e difficilmente incidono a fondo sulla sostanza delle cose. Parlare di “tempo di conversione” significa invece, mettere l’uomo nella condizione di porre in atto un mutamento radicale delle solite cose, innescando una rivoluzione profonda del modo di essere.
Il “tempo della conversione” è il tempo della rottura del tempo consueto, è il tempo che spezza la spirale del tempo vuoto e insensato, per mettere in moto il tempo come a Dio piace.
Questo è, e vuole essere, ogni anno liturgico, tempo della nostra conversione.
È celebre la preghiera di sant’Agostino che chiedeva ironicamente a Dio: “convertimi… ma domani!”. Possiamo sorridere per questa proroga richiesta spudoratamente, ma se ci pensiamo bene, è ciò che facciamo tutti senza proferire parola. Quante volte abbiamo rimandato la nostra conversione, magari adducendo la motivazione che “tutto sommato, cosa c’è che non va nella nostra vita?” Oggi è il giorno della conversione possibile, convinti che il mondo cambia solo a condizione che una persona abbia il coraggio di iniziare a cambiare. Se noi, che oggi partecipiamo all’eucarestia, rispondendo all’appello di Dio, decidessimo che dev’essere oggi il giorno per cambiare, potremmo addirittura ipotizzare il cambiamento del mondo. Sì, perché, se per cambiare il mondo basta il cambiamento di uno, ci immaginiamo quale carica di rinnovamento si innesca se, anziché in uno fossimo in molti a convertirci? Cominciando da noi che partecipiamo all’Eucarestia…
(Don Arturo – 2007)